I racconti della quarantena
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I racconti della quarantena

Racconti della quarantena


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Smorfia Insanguinata

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1Smorfia Insanguinata Empty Smorfia Insanguinata Dom Mar 29, 2020 10:58 pm

Berserk



Ringrazio l'admin per l'invito.

Questo è un racconto con cui ho partecipato a un contest letterario sei mesi fa. Fatemi sapere cosa ne pensate.


SMORFIA INSANGUINATA

Decine di mascheranti affollano la grande sala sotterranea, spingendosi l’un l’altro per poter guadagnare spazio. Al centro della folla, il Celebrante e il Gran Caporazzia siedono uno di fronte all’altro.
Il Celebrante è anziano, la pelle bianchissima ormai tendente al grigio e il corpo, persino più ossuto del normale, rivestito solo con un perizoma di pelle consumata. La maschera di bubboni neri che copre il naso e circonda gli occhi della sua gente è attraversata da decine di cicatrici rituali, che sembrano sempre lucide di pus infetto.
- Ne, Mast’Prievte: cche virite?
Il Gran Caporazzia indossa una sorta di corazza fatta di rottami metallici. I suoi bubboni facciali sono coperti da una mezza maschera dipinta di nero, segno del suo ruolo. Il Celebrante non risponde, ma prende tra le mai un cranio mutante e comincia ad agitarlo. Sulla punta vagamente conica del teschio è stato aperto un foro: quando il vecchio lo rovescia, ne fuoriescono due piccoli gettoni d’osso levigati.
- Quarantuno: 'o curtiello – dice il vecchio, leggendo i numeri che vi sono dipinti sopra. – Dicessette: 'a disgrazia.

Tamburi nell’abisso.
Migliaia di mascheranti risalgono dalle profondità della Napoli Sotterranea, armati di coltelli, spade fatte con rottami o semplici ossa appuntite. La luce delle torce squarcia il buio dei tunnel e si riflette sulle zanne giallastre dei mutanti. Fauci spalancate in sorrisi innaturalmente grandi, che schioccano al pensiero del premio per la razzia: carne e sangue. Non il misero pasto offerto dagli animali delle profondità o dal cannibalismo, ma i corpi sodi degli imperiali di Proxima. Carni umane a cui la permanenza su pianeti lontani ha donato il sapore di spezie sconosciute.
Aizzata dalle urla dei capirazzia, l’orda attraversa le profondità sotto Ercolano e Portici ed oltrepassa le fondamenta di cemento delle mura che gli uomini-alieni hanno innalzato sulle rovine di Napoli. Per scavare quelle mine, migliaia di mascheranti sono morti, ma il loro sacrificio ha nutrito i guerrieri più forti e ne ha fomentato l’odio, preparandoli al momento della razzia. Le buche verso la superficie sono mascherate da diaframmi di terra profondi poche decine di metri. Quando gli operai cominciano a smontare le impalcature metalliche che li sostengono, la frenesia dei razziatori si trasforma in un’attesa impaziente.

I guerrieri si agitano alle visioni del Celebrante. Alcuni di loro, presi dalla fame, cominciano a colare bava dai lati delle fauci bestiali. Qualcuno sfoga la propria frenesia battendo il piede a terra, qualcun altro mette mano a un flauto d’osso o a qualche altro strumento musicale e la sala puzzolente si riempie di una cacofonia rabbiosa. Il Celebrante e il Gran Caporazzia sono gli unici a mantenere la calma: sanno che la previsione non è ancora finita.
Altri due gettoni cadono a terra.
- Durece: 'o surdato. Quarantasette: 'o muorto.

Quando i diaframmi vengono fatti crollare, i mutanti si arrampicano fuori dalle buche usando i coltelli o le nude mani artigliate. Molti cadono, ma non ci vuole più di una manciata di secondi prima che le voragini comincino ad eruttare centinaia di figure pallide con crani conici allungati. Arrivano inattesi: i loro ululati di guerra gettano nel panico i civili, che scappano in ogni direzione o cercano scampo negli edifici coloniali che sono sorti sulle rovine di San Giorgio a Cremano.
I soldati presenti sulle mura cercano di intervenire, colpendo nel mucchio con mitragliatrici pesanti e fucili a proiezione. I mutanti non hanno difesa contro simili armi, ma, per ognuno di loro che cade, altri dieci prendono il suo posto. Alcuni capirazzia fanno arrampicare i loro uomini sui tetti degli edifici e cominciano a bersagliare i difensori con frecce e pietre. I loro proiettili sono poco efficaci contro le protezioni dei miliziani, ma attirano la loro attenzione per il tempo che serve ad altri gruppi per scalare le mura interne e ingaggiarli in un furioso corpo a corpo. Gli uomini della milizia coloniale si difendono strenuamente, sparando dai capisaldi fortificati o tentando disperate cariche alla baionetta, ma è tutto inutile. In meno di mezz’ora, anche l’ultima mitragliatrice tace ed i pesanti cancelli vengono spalancati, facendo entrare nella colonia il resto dell’immensa fiumana mutante.

La musica disordinata si intensifica, trascinando i guerrieri in una danza altrettanto grottesca. Persino il Gran Caporazzia sembra lasciarsi prendere dall’entusiasmo dei suoi uomini e comincia a battere le mani a tempo. Non per questo, però, trascura i gesti del Celebrante, che continua a gettare le sorti.
Stavolta il presagio è insolito: i due gettoni che escono dal cranio sono attaccati tra loro. Il vecchio li prende e li stacca con una leggera pressione, facendo vedere che erano uniti da una sostanza rossastra.
- Deciott’: o ' sanghe. Vintun’: 'a femmena annura.

L’orda dei mascheranti dilaga in ogni area della colonia, massacrando chiunque si trovi sul suo cammino. Chi resiste, viene travolto. Chi fugge, viene inseguito e braccato come selvaggina. Chi si ferma per pregare, viene macellato sul posto come bestiame. Artigli e coltelli squarciano le carni, versando a terra il sangue degli uomini-alieni. Sangue rosso, infinitamente più dolce della poltiglia grigiastra che scorre nelle vene dei mutanti. Ogni volta che un imperiale viene atterrato, subito gli si forma attorno un capannello di mascheranti, che affondano freneticamente i denti nel suo corpo, senza neppure curarsi se sia vivo o morto.
Ma quella dello stomaco non è l’unica fame che le orde mostruose hanno covato nella lunga attesa nel sottosuolo.
Una donna viene braccata da un caporazzia e dai suoi gregari in un vicolo dell’antica Poggioreale. Viene sbattuta a terra e i vestiti le vengono strappati di dosso. Le sue resistenze vengono spente da un coltello puntato alla gola. Le lacrime sono tutto ciò che le resta, mentre il caporazzia si toglie di dosso i pochi cenci imbrattati e comincia a violentarla, aizzato dalle urla di approvazione dei suoi guerrieri, che aspettano a loro volta il loro turno per lo stupro e per il pasto. Né per gli uomini va meglio: in molti punti della città, femmine mutanti, distinguibili dai loro compagni solo per i seni cadenti e rugosi, afferrano i giovani più attraenti e li violentano, spesso cominciando a divorarli prima ancora di aver terminato lo stupro.
I nuovi edifici coloniali vengono dati alle fiamme, mentre gli antichi ruderi sopravvissuti all’olocausto nucleare vengono battuti palmo a palmo in cerca di disgraziati in fuga.
L’odio covato nel buio per tempo immemorabile trova il suo sfogo e le urla dei coloni riempiono la città fino al tramonto.

I ruggiti di trionfo fanno tremare le rocce delle profondità. Influenzati dalle visioni, i canti dei guerrieri si fanno sempre più lascivi e la musica assume una tonalità più languida. Alcune guerriere e capirazzia si spogliano e invitano i loro compagni all’accoppiamento, lanciando ululati osceni. La festa degenera in un’orgia sfrenata, mentre brocche piene di liquori scuri cominciano a passare di mano in mano. Sono bevande ottenute con le muffe che crescono nell’ambiente infetto delle tane più profonde, attecchendo su rifiuti e resti di cadaveri. Velenosi per chiunque altro, quei miscugli bruciano nelle gole dei mascheranti ed eccitano le loro menti feroci.
Il Gran Caporazzia si alza in piedi. Due delle sue compagne gli si strusciano addosso, accarezzandogli la pelle non coperta dalla corazza con i bubboni neri delle loro maschere facciali. Il mutante, visibilmente eccitato, alza in alto la sua enorme scure metallica.
- Ce ripigliamm' tutt' chell che è 'o nuost!! – urla, per poi avvicinare il volto a quello del Celebrante, ostentando un ghigno di sfida mentre accarezza l’arma – Cu chesta c’arripigliamm!
Il vecchio non reagisce alla provocazione. Solo, agita il cranio e lo rovescia.
- Sittantasette: 'e riavulille –
dice, fissando negli occhi il Gran Caporazzia con uno sguardo che va oltre la risposta alla sua sfida. - Sissantuno: 'o cacciatore.

Mentre il sole si avvia a calare nel Golfo di Napoli, la marea mutante converge sull’ultimo punto ancora non occupato: l’antico Castel dell’Ovo, ora utilizzato come residenza del console. I coloni superstiti si preparano a difenderlo, bloccando la sottile lingua di terra che lo collega alla terra con fortificazioni improvvisate.
Ogni imperiale rimasto, uomo, donna, o bambino, è mobilitato. Chi non imbraccia un’arma, rinforza le barricate, porta le munizioni, o assiste in ogni modo i combattenti. Per l’ultima resistenza, anche le guardie del console sono state mobilitate: un pugno di triarii imperiali, chiusi nei loro poderosi esoscheletri da guerra potenziati e armati con mitragliatrici pesanti a proiezione.
Quando i mascheranti si presentano sulla costa e lanciano il loro grido di guerra, stavolta si alza una risposta altrettanto rabbiosa.
- Per Proxima e per il Genius des Kaiser!
I coloni aprono il fuoco contro l’orda. Le raffiche di proiettili tranciano arti, spappolano teste e fanno letteralmente a pezzi i razziatori delle prime linee. La marea di mascheranti sbanda, ma altri ne affluiscono dalle retrovie. Alcuni di loro si gettano in acqua e tentano di raggiungere il castello a nuoto: chi non annega, viene abbattuto con estrema facilità dai coloni, a cui non sembra vero di poter colpire bersagli così lenti e visibili.
I mascheranti cadono a centinaia, eppure continuano a farsi avanti, resi persino più pazzi dall’odore di morte e dalla vista del sangue.
Vedendo l’inefficacia dell’assalto diretto, i capirazzia fanno demolire gli edifici conquistati e ne fanno accumulare i detriti lungo la costa o sulla lingua di terra che porta alla fortezza. Dietro quei ripari improvvisati, arcieri e frombolieri fanno piovere una pioggia di proiettili contro i difensori, mentre gli altri guerrieri tentano di tirar su barricate che, metro dopo metro, gli consentano di raggiungere i loro odiati nemici.
Rendendosi conto del pericolo, il decano che guida la difesa dei coloni lancia un ordine che sovrasta persino il rumore degli spari.
- Portate subito quell’H-Ragnarr Loðbrók! Tirate giù quelle maledette barricate!
Pochi minuti dopo, sotto lo sguardo attonito dei mascheranti, accanto ai difensori compare una figura vagamente umanoide, alta quasi due metri e mezzo e con una corazza persino più poderosa di quella dei triarii. Un mech di classe Heros, le cui braccia sono costituite da due cannoncini gemelli da 20 mm e i cui visori rossastri scrutano le orde di mutanti in un modo che fa scorrere un brivido in più di un razziatore veterano. Il mostro d’acciaio comincia un bombardamento serrato dei mascheranti, spazzando via le barricate di detriti in pochi istanti e massacrando sul posto decine di assalitori. I pochi metri conquistati a caro prezzo vanno perduti, e le coste del porto si ricoprono di cadaveri e di moribondi dai corpi martoriati. L’avanzata dei mutanti si infrange e con essa la furia che li aveva guidati fino a quel momento. Un razziatore, coperto da capo a piedi dal sangue grigiastro dei suoi compagni, getta via l’arma e comincia a scappare.
- Fuitevenne! Ca c’ murimm tutt’ quant’! – Urla, prima che un caporazzia lo faccia tacere con un colpo di mazza che gli spacca il cranio. Ma il danno è fatto: i mascheranti si danno alla fuga, calpestandosi l’un l’altro nel tentativo di mettersi al sicuro dai proiettili dei coloni. La marea pallida defluisce, lasciando dietro di sé solo un mutante emaciato e vestito con un perizoma consunto.
Il Celebrante.

Mano a mano che la visione procede, la musica cacofonica e i rumori dell’orgia si diradano, lasciando il posto a un silenzio carico di tensione. I mascheranti non storditi dai liquori si guardano l’un l’altro con apprensione mentre, nelle retrovie più lontane dell’assembramento, qualche guerriero si allontana nel buio, preferendo l’ambiente infetto delle tane profonde al rischio di essere fatto a pezzi da avversari apparentemente invincibili.
Il Gran Caporazzia sente su di sé lo sguardo dei suoi guerrieri e trema: la promessa di vendetta e di cibo ha cementato il suo potere contro i suoi rivali, anche davanti ai sacrifici che lo scavo delle mine ha comportato, ma difficilmente potrebbe rimanere al comando se quella speranza dovesse rivelarsi falsa. La prospettiva di essere divorato vivo davanti all’assemblea, come lui ha fatto con il Gran Caporazzia precedente, non lo entusiasma per niente. Trattiene il respiro mentre il rumore del cranio sacro che viene agitato rompe il silenzio. Il Celebrante raccoglie altri due gettoni d’osso: mentre legge il risultato, la sua ombra sembra incombere sempre di più sulla figura ingobbita del Gran Caporazzia.
- Trentasette: 'o monaco. Uttantacinche: l'aneme d' 'o priatorio.

Il vecchio avanza lentamente, le braccia tese a croce, indifferente ai proiettili che fischiano a pochi millimetri da lui. Chiama a gran voce l'aneme d' 'o priatorio, gli spiriti degli antenati che sono rimasti sulla Terra, rintanandosi nelle profondità del suolo per sopravvivere all’olocausto nucleare e biochimico. Ne invoca l’odio e il terrore accumulati nei lunghi millenni di agonia sotterranea, quando l’unica cosa che li spingeva a scavare nel buio era la speranza di sopravvivere. Sopravvivere in attesa di vendicarsi di coloro che avevano distrutto il loro mondo, per poi scappare impuniti su pianeti lontani.
Un proiettile gli strappa un pezzo di carne sulla spalla sinistra, un altro gli fa esplodere uno dei mignoli artigliati, eppure il Celebrante continua a camminare, urlando ancora più forte le sue preghiere.
Offre il sangue umano dei suoi nemici e quello grigio della sua gente in olocausto al rancore infinito delle aneme d' 'o priatorio e all’odio che le ha vincolate a quel mondo in agonia. Una cannonata del mech esplode a poco lontano da lui, sbalzandolo ad alcuni metri di distanza. Il vecchio sputa un grumo di sangue e si alza in piedi: una scheggia di pietra gli ha traforato il torace, eppure ha la forza per maledire ancora i nemici della sua gente.
Quando l’eco delle sue parole di spegne, nei pochi istanti che passano prima che i coloni puntino nuovamente la mira su di lui, la terra prende improvvisamente a tremare e il Celebrante comprende che le sue preghiere sono state ascoltate.
In ogni direzione, la terra si riempie di voragini, che inghiottono vivi e morti come fauci affamate. Anche l’acqua comincia a bollire ed assume una colorazione verdastra, mentre su tutto incombe un odore asfissiante di decomposizione, come se l’intero Golfo di Napoli si fosse trasformato in un immenso cimitero.
Poi, dalle profondità degli squarci, emerge una densa nebbia, la cui fosforescenza illumina il mare con una fredda luce verdastra. Il fumo dell’abisso si contorce, si estende su ogni cosa, e nelle sue volute compaiono figure umane e mostruose, che scrutano i coloni con milioni di occhi malvagi.
Quando gli imperiali comprendono di essere in pericolo, per loro è già troppo tardi.
Una colonna di nebbia si trasforma in una gigantesca chela, che afferra uno dei difensori e lo spezza a metà, inondando i suoi compagni con una pioggia di sangue. La donna accanto a lui urla e si fa indietro ma, prima che possa reagire in alcun modo, viene afferrata da decine di mani umane spettrali, che la sollevano in alto mentre smembrano il suo corpo pezzo per pezzo. La vista di simili orrori manda nel panico i coloni, molti dei quali abbandonano le barricate e fuggono. Non serve a nulla: il più veloce a fuggire si ferma dopo pochi metri, soffocato dalle spire di fumo che gli entrano nella bocca e nel naso. Quando si volta verso i suoi compagni, in cerca di aiuto, la sua pancia si gonfia in modo innaturale, poi esplode, rilasciando una miriade di topi deformi. Davanti a quella vista, ciò che resta del coraggio dei coloni crolla definitivamente. Nemmeno il Golfo è sicuro: un bambino si butta in mare per scappare a nuoto, ma dall’acqua riemerge solo la sua testa, agganciata all’estremità del peduncolo di un immenso pesce abissale. Ancora gocciolante di sangue, maledice i suoi compagni in una lingua sconosciuta.
Il decano dei triarii, che ha incitato fino all’ultimo i suoi compagni alla resistenza, viene inghiottito da un’immensa testa d’insetto comparsa dal nulla, le cui mandibole squarciano il suo esoscheletro potenziato come se fosse fatto di carta. Anche il Ragnarr Loðbrók viene distrutto, o meglio, fatto a pezzi da decine di tentacoli muniti di occhi, che gli strappano gli arti d’acciaio con la malvagia minuzia di un bambino che tormenta un insetto.
Uno dopo l’altro, i coloni superstiti vengono trucidati e i loro corpi vengono trascinati nelle voragini delle profondità. Quando anche l’ultimo grido di dolore viene inghiottito dalla nebbia, il silenzio cala sul Golfo di Napoli.
L'aneme d' 'o priatorio hanno reclamato il loro tributo.


L’assemblea dei razziatori prorompe in un grido di trionfo. La musica riprende, stavolta modulata come un inno sacro, con cui i mascheranti rendono grazie ai loro antenati e al loro infinito rancore. Molti si inginocchiano e fanno voti sacri, promettendo ricompense di sangue in cambio di cibo e vittoria. Ma non sono solo l'aneme d' 'o priatorio ad essere ringraziate: molti guerrieri si inginocchiano intorno al Celebrante, supplicandolo per una benedizione. Persino i più potenti dei capirazzia si avvicinano a lui e gli offrono le armi in segno di sottomissione.
Il vecchio sorride e dispensa le parole di rito a chiunque le chieda. Ad ogni benedizione, il suo ghigno feroce si allarga e i suoi occhi incrociano per un istante lo sguardo del Gran Caporazzia. Quest’ultimo osserva con rabbia malcelata il sacerdote, stringendo le mani sull’impugnatura della scure per ogni suo razziatore che fa atto di sottomissione. Si guarda intorno, alla ricerca di qualcuno che esiti in quelle manifestazioni di devozione, ma trova solo sguardi adoranti: in pochi minuti, è praticamente l’unico a non essersi sottomesso all’autorità del Celebrante.
A quel punto, Il vecchio si volta verso di lui e muove alcuni passi nella sua direzione. A quel gesto, su tutta la sala cade un silenzio improvviso. Il Gran Caporazzia si scopre circondato e sente il cuore fermarsi quando si rende conto che i suoi stessi guerrieri lo stanno guardando con odio, le mani strette sulle armi, in attesa dell’ordine che decida della sua sorte. La rabbia evapora in terrore e si getta immediatamente a terra, offrendo al Celebrante la sua ascia con un gesto di totale sottomissione.
Il silenzio della sala è rotto dal suono della risata del vecchio, che si avvicina al Gran Caporazzia, lo abbraccia e lo fa rialzare, alzando insieme a lui la scure di ferro…

…la cui lama stacca un’altra testa da un cadavere imperiale. Il Gran Caporazzia la alza in segno di trionfo, poi la consegna con aria solenne al Celebrante. Il vecchio annuisce e la solleva in alto, portandola tra due file di mascheranti allineati, al termine delle quali si apre un immenso squarcio nel terreno. Il vecchio prega ad alta voce ed offre la testa al rancore inestinguibile delle aneme d' 'o priatorio, poi la lascia cadere. Per un istante, il buio delle profondità si accende di una luce verdastra, punteggiata di innumerevoli occhi. Gli antenati stanno gradendo il sacrificio, ma non sono ancora soddisfatti.
Il vecchio ne è consapevole e torna sui suoi passi. Gli spettri del buio hanno sussurrato a lungo nella sua mente e gli hanno rivelato molti segreti.
Quella che hanno distrutto non è l’unica colonia: gli uomini-alieni ne hanno edificate a dozzine su tutto il pianeta, inconsapevoli del rancore millenario che si contorce nelle sue profondità. Ora quell’odio si è svegliato, e la sua fame incontenibile non potrà essere placata con nessun altro sacrificio, che non sia quello degli invasori. Una fame molto simile a quella dei mascheranti, che di quel mondo contaminato sono gli unici, veri, figli.
Il Celebrante prende dal Gran Caporazzia un’altra testa e sorride. Quel massacro è solo l’inizio: le visioni gli hanno mostrato il futuro. Gli hanno mostrato il fato che attende da ora in poi i loro nemici.
- Nuvanta: 'a paura.

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